Le testimonianze dirette sui druidi sono molto poche ma anche le più importanti. Purtroppo i celti non usavano la scrittura se non in rari casi, quindi quasi tutto è giunto a noi tramite gli autori classici. Qui cerchiamo di raccogliere più testi possibile.
Geni cucullati (periodo gallo romano)
Diodoro Siculo storico greco nato in Sicilia contemporaneo dei druidi (90 a.c - 27 a.c.) dice:
"Parlano poco nelle loro conversazioni, si esprimono per enigmi e nel loro linguaggio fanno in modo da lasciar indovinare la maggior parte delle cose.Essi utilizzano molto l’iperbole, sia per vantarsi essi stessi, sia per sminuire gli altri. Nei loro discorsi sono minacciosi, altezzosi e portati al tragico. Sono tuttavia intelligenti e capaci di istruirsi."
un'immagine molto orientale bisogna dire, quasi zen. Ci porta poi un'altra testimonianza diretta: quella sulla "reincarnazione" anzi sarebbe meglio dire "metempsicosi", ovvero che i celti credevano alla trasmigrazone delle anime di corpo in corpo. Anche se alcuni (pochi) scrittori dei druidi moderni si oppongono a questa credenza la testimonianza di Diodoro è inequivocabile, anzi viene citato anche Pitagora:
"La dottrina pitagorica prevale tra i Galli, e insegna che le anime degli uomini
sono immortali e che dopo un certo numero di anni tornano a vivere, quando
un’anima si incarna in un altro corpo."
"E ci sono tra i Galli poeti che essi chiamano bardi; e cantano su strumenti
simili alla lira, inneggiando alcuni e vituperando altri. Hanno filosofi e
teologi tenuti in grande considerazione, che vengono chiamati druidi. Hanno
anche indovini molto importanti, che predicono il futuro osservando il volo
degli uccelli e le interiora delle vittime e le cui parole ciascuno tiene in
gran conto. Soprattutto quando devono vaticinare su problemi di particolare
importanza, hanno un’usanza strana e incredibile. Infatti colpiscono un uomo con
un pugnale nella regione sottostante il diaframma e, dopo la sua caduta,
predicono il suo futuro osservando le convulsioni del suo corpo e il modo in cui
scorre il sangue; è questo un modo di divinare a loro particolarmente
famigliare, poiché è molto antico. E’ costume presso i Galli che nessun
sacrificio venga compiuto senza l’ausilio di un filosofo, perché si crede che le
offerte agli dèi dovrebbero essere fatte soltanto con la mediazione di queste
figure, che conoscono la natura divina e hanno con essa familiarità; e che
soltanto attraverso di loro si possono rivolgere suppliche agli dèi in modo
appropriato. Questi veggenti hanno autorità non soltanto in tempo di pace, ma
anche in guerra, mentre gli incantamenti dei bradi operano su amici e nemici.
Spesso quando i combattenti si affrontano uno di fronte all’altro, le spade
sguainate e le aste incrociate, questi uomini si pongono nel mezzo e fermano la
battaglia, proprio come talvolta vengono incantate le bestie feroci. Così, anche
fra i barbari più selvaggi, l’ira si piega alla salvezza. Mentre arretra di
fronte alle Muse."
Giulio Cesare (100 a.c - 44 a.c.)
"...Dunque delle due classi una è dei Druidi, l'altra dei
cavalieri. Quelli attendono al culto religioso, sorvegliano il
compimento dei sacrifici pubblici e privati, interpretano i misteri
religiosi; un gran numero di giovani accorrono da essi per imparare, e
questi sono tenuti presso di essi in grande onore. Decidono infatti
secondo la legge di tutte le controversie pubbliche e private e
decidono ugualmente se è stato commesso qualche misfatto, se un
omicidio è stato compiuto, se per questione di eredità, di confine,
deliberano i premi e le pene; se colui che o privato o tribù non si
attiene alle loro decisioni, lo escludono dai sacrifici. Questa pena
è presso di loro grave. Coloro, i quali sono stati così esclusi sono
messi nel numero degli empi e dei malvagi, tutti si scostano da loro e
rifuggono inoltre di parlare con essi, per non avere a soffrire
qualche sventura, non è loro resa giustizia anche se la chiedono, e
non si fanno partecipi di alcuna carica pubblica. Poi è capo di tutti questi Druidi un sommo sacerdote, che riveste tra
loro la somma autorità. Morto questo, o se qualcuno eccelle sugli altri per dignità,
subentra, o, se ve ne sono più di pari merito, col voto dei Druidi,
talvolta essi rivaleggiano per il primato anche con le armi. Questi, in una determinata stagione dell'anno, nel territorio dei
Carnuti, la cui regione è considerata il centro di tutta la Gallia,
si stabiliscono in un luogo sacro. In questo luogo convengono da ogni
parte tutti coloro che hanno delle controversie e si sottomettono ai
loro decreti e sentenze. Si crede che la dottrina druidica sia stata
scoperta in Britannia e trasferita in Gallia, e ancora oggi coloro che
vogliono approfondirla vanno generalmente colà per istruirsi."
"I druidi di solito si tengono lontani dalla guerra, e non pagano come gli altri
tributi. Hanno l’esenzione dal servizio militare e da qualsiasi altra
prestazione. Spinti da tanti vantaggi, e molti di spontanea volontà, accorrono
ad apprendere questa dottrina; altri sono mandati dai genitori e dai parenti.
Pare che imparino lì un gran numero di versi. Così alcuni vi rimangono vent’anni
per apprendere. Non pensano sia lecito lasciarli scritti, mentre si servono del
greco per quasi tutte le altre faccende, per le norme pubbliche e private. Credo
che abbiano stabilito questo per due ragioni: da un lato non vogliono che si
diffonda tra il popolo la loro dottrina, dall’altro hanno timore che i novizi,
confidando nella scrittura, siano meno diligenti nell’apprenderla. Accade
infatti molte volte che con l’ausilio della scrittura ci si mostri meno disposti
a imparare e a studiare a memoria. In primo luogo i druidi vogliono persuadere
che l’anima non muore, ma dopo la morte passa in altri; questo dovrebbe essere
soprattutto uno sprone al valore, visto che il timore della morte viene
abbandonato. Discutono anche molto degli astri e del loro movimento, della
grandezza del mondo e della terra, della natura, della potenza degli dèi
immortali e di tutto ciò che fanno precetti per i giovani."
"Tutta la nazione gallica è molto dedita a pratiche superstiziose. Per questa
ragione chi sia affetto da gravi malattie o si trovi in battaglia, o nei
pericoli, immola vittime umane o vota se stesso alla morte; per questi sacrifici
si servono come ministri dei druidi, poiché pensano che non si possa placare la
volontà degli dèi immortali se non dando una vita per un’altra vita; anche la
comunità ha stabilito per la sua salvezza questo genere di sacrifici. Alcune
popolazioni hanno statue di grandezza inusitata, le cui membra sono intessute di
vimini e al cui interno vengono posti uomini vivi; vi pongono sotto il fuoco e
gli uomini muoiono avvolti dalle fiamme. Pensano che gli dèi preferiscano la
morte di chi sia stato arrestato per furto, per latrocinio e per qualche altro
delitto. Se tuttavia mancano uomini di questo genere sacrificano anche degli
innocenti."
"Il Dio che i Galli onorano di più è Mercurio: le sue statue sono le più
numerose, essi lo considerano come l’inventore di tutte le arti , egli è per
loro il dio che indica il cammino, che guida il viaggiatore, egli è colui che è
più abile ad assicurarsi i guadagni e a proteggere il commercio. Dopo di lui
adorano Apollo, Marte, Giove e Minerva. Essi si fanno di questi dei pressappoco
la stessa idea degli altri popoli : Apollo guarisce dalle malattie, Minerva
insegna i principi dei lavori manuali, Giove è il signore degli dei, Marte
presiede alla guerra. Quando hanno deciso di dare battaglia promettono
generalmente a questo dio il bottino che riusciranno a fare; vincitori gli
offrono in sacrificio il bottino vivo e accumulano il resto in un solo luogo. In
numerose città si possono vedere in luoghi consacrati dei tumuli innalzati con
questa spoglie; ed è raro che un uomo osi, a sprezzo della legge religiosa,
dissimulare presso di lui il suo bottino o toccare le offerte . un tal crimine è
punito con una morte orribile tra i tormenti."
"I Galli sostengono di discendere tutti dal padre Dite e che questo sia
tramandato dai druidi. Perciò non calcolano il tempo contando i giorni, ma le
notti: le date natalizie, il principio dei mesi e degli anni sono contati
facendo incominciare la giornata con la notte."
"I Germani hanno costumi molto diversi. Infatti non hanno druidi che presiedano
alle funzioni sacerdotali, e non sono dediti ai sacrifici..."
Cicerone (106 a.c. 43 a.c. ) oratore, filosofo, scrittore romano, ci parla dei druidi, uno dei quali lui conosceva bene: Diviziaco!
La pratica della divinazione non è disprezzata neppure tra i barbari, se è vero
che in Gallia esistono i druidi, e esistono davvero. Io stesso ne ho conosciuto
uno, Diviziaco , l’Eduo, tuo ospite e sostenitore. Egli ha dichiarato di avere
quella conoscenza della natura che i Greci chiamano “fisiologia”, e di poter
conoscere il futuro a volte servendosi di àuguri, a volte di congetture.
Strabone (60 a.c. 21 d.c. ) geografo e storico greco ci porta alcune delle testimonanze più crudeli, forse influenzate dal disprezzo che gli autori classici nutrivano verso i "barbari" o anche dell'intento di deigrare questi popoli:
Tra le genti galliche, ci sono tre categorie di persone che vengono onorate in
modo particolare: i bardi, i vati e i druidi. I bardi sono cantori e poeti; i
vati sono divinatori e filosofi della natura; mentre i druidi studiano
contemporaneamente la filosofia della natura e quella morale. I druidi sono
considerati i più giusti fra gli uomini e per questa ragione si ricorre a loro
sia per dispute private, sia per problemi della comunità. Anticamente,
arbitravano persino i casi di guerra, e facevano fermare i contendenti quando
già stavano per ingaggiare battaglia. Si occupavano in particolar caso di
omicidio, che venivano portati di fronte a loro per essere giudicati. Inoltre,
quando vi è abbondanza di questi casi [di criminali da offrire in sacrificio]
pensano vi sarà anche abbondanza della terra. Comunque non solo i druidi, ma
anche altri, ritengono che le anime degli uomini, e l’universo, siano
incorruttibili, sebbene il fuoco e l’acqua prevarranno prima o poi su di loro.
"Ma i Romani fermarono questi costumi, così come tutti quei sacrifici e pratiche
divinatorie contrarie alla nostra consuetudine. Usavano colpire alla schiena con
una spada un uomo che avevano deciso di immolare, e trarre presagi dalle sue
contorsioni. Tutto ciò non può essere fatto senza i druidi. Sappiamo poi di
altri tipi di sacrifici umani. Uccidevano le vittime con le frecce, le
impalavano nei templi, o costruivano colossi di paglia e di legno, dove
buttavano bestiame, animali selvatici ed esseri umani, che venivano arsi
insieme."
Tito Livio (59 a.c. 17 d.c.) ci porta una testimonianza di usanze druidiche in Pianura Padana.
“I più furono uccisi dai tronchi degli alberi e dai rami spezzati; i
Galli che erano appostati tutti intorno alla selva, massacrarono la
massa rimanente in preda allo scompiglio a causa dell’imboscata, pochi
furono catturati mentre cercavano di raggiungere un ponte sul fiume
precedentemente occupato dai nemici. Qui Postumio cadde lottando con
ogni forza per non essere preso. I Boi festanti portarono le sue spoglie
e la sua testa tagliata nel tempio, che presso di loro era più sacro.
Ripulita poi la testa come è loro costume, ornarono il teschio con un
cerchio d’oro, e questo era per loro un vaso sacro con cui libare alle
solennità, e allo stesso tempo una coppa per i pontefici e per i
sacerdoti del tempio e, agli occhi dei Galli, il bottino fu non minore
della vittoria”
Svetonio (70 d.c. 126 d.c. ) ci dice:
"Soppresse completamente la religione inumana e terribile dei druidi in Gallia,
che sotto il principato di Augusto era stata soltanto vietata ad alcuni
cittadini romani."
Pomponio Mela vissuto nel primo secolo dopo cristo, scrive:
"Rimangono ancora le tracce di una barbarie non più praticata e se anche si
trattengono dalla strage, tuttavia viene ancora sparso il sangue delle vittime
condotte all’altare. Hanno nonostante ciò un loro genere di eloquenza, e
insegnanti di saggezza, chiamati druidi. Essi dichiarano di conoscere la forma e
la grandezza del mondo, i movimenti dei pianeti e delle stelle e la volontà
degli dèi. Impartiscono molti insegnamenti ai nobili galli, in un corso di studi
che dura vent’anni, e si incontrano in segreto in una grotta o in balze isolate.
Uno dei loro precetti è stato reso di pubblico, evidentemente per spingere la
popolazione al combattimento. Che le anime sono immortali e che esiste una
seconda vita nel regno dell’Oltretomba. Questa è la ragione per cui bruciano e
seppelliscono con i loro morti le cose di cui avevano bisogno da vivi. Una volta
rimandavano alla seconda vita anche la conclusione degli affari e la riscossione
dei crediti. E vi era anche che si gettava spontaneamente sulle pire dei propri
defunti, per dividere con loro la nuova vita."
Marco Anneo Lucano, anch'egli vissuto nel primo secolo dice:
"E voi, o druidi, tornaste a ripetere i vostri riti barbarici e la sinistra
consuetudine dei sacrifici, abbandonati nel momento in cui avevate deposto le
armi. A voi soltanto è concesso di conoscere gli dèi e le potenze del cielo o
affermarle in conoscibili; voi abitate boschi profondi in remote foreste sacre.
Secondo quanto voi sostenete, le ombre non scendono nelle silenziose sedi
dell’Erebo e nei pallidi domini del profondo Dite: il medesimo spirito governa
il nostro corpo in un altro mondo; se voi esprimete cose di cui siete ben
sicuri, la morte rappresenta il punto mediano di una lunga vita"
Plinio il Vecchio (23 d.c. - 79 d.c.) poeta romano nato a Como (o forse a Verona) di origini quindi cisalpine ci porta altre importanti testimonianze nel suo Naturalis Historia:
"Un’erba simile alla sabina viene chiamata selago. Si raccoglie senza l’uso di
uno strumento, passando la mano destra attraverso la manica sinistra, nell’atto
di chi commette un furto. Bisogna avere un abito bianco, piedi ben lavati e
nudi, ed è necessaria un’offerta di pane e vino prima della raccolta. I druidi
in Gallia ritengono che sia un buon incantesimo contro pericoli di ogni genere,
e che il fumo che si produce bruciando la pianta sia un ottimo rimedio per le
malattie degli occhi. Citano anche un’altra pianta, che chiamano samolus; deve
essere raccolta a digiuno con la mano sinistra, ed è un potente rimedio contro
le malattie del bestiame. Il raccoglitore non deve però guardarsi alle spalle o
lasciare la pianta in altro luogo che nei canali di abbeveramento."
"Vi è un altro tipo di uova, molto noto fra i Galli, ma non nel mondo greco.
Durante l’estate numerosi serpenti si intrecciano e rimangono attaccati con una
secrezione che gli esce dal corpo e dalle fauci. Questa secrezione viene
chiamata anguinum. I druidi dicono che, sibilando, i serpenti lanciano in aria
questa sostanza, che deve essere raccolta nella veste prima che tocchi terra.
Chi l’ha presa deve immediatamente scappare a cavallo, dal momento che i
serpenti lo finché non vengono allontanati da una corrente. Si può verificarne
la natura, se naviga contro corrente, anche se è incastonata nell’oro. E, poiché
è tipico dei maghi occultare i loro inganni, stabiliscono che queste uova
debbano essere raccolte con una certa luna, quasi che dipendesse dall’uomo far
coincidere il gesto dei serpenti con l’arbitrio umano. Io stesso ho visto una di
queste uova; era rotonda, grande quanto circa una piccola mela, e aveva un
guscio cartilagineo, come le fitte ventose dei tentacoli del polipo. I druidi ne
hanno una grande stima. Si dice addirittura che porti la vittoria nelle liti e
che permetta di essere ricevuti favorevolmente dai re. Questo è falso poiché
pare che un uomo dei Voconzi, un cavaliere romano, se lo sia tenuto in petto
durante una lite e sia stato condannato a morte dall’imperatore Claudio,
apparentemente soltanto per questo."
"La magia fiorì in Gallia, fino ad un periodo che siamo in grado di ricordare.
Durante il principato di Tiberio infatti venne emesso un decreto del senato
contro i druidi galli e tutta quella stirpe di indovini e medici. Ma perché
dovrei ricordare queste cose di un’arte che ormai ha attraversato l’oceano, e
che è giunta agli estremi confini della terra? Anche oggi la Britannia è
affascinata dalla magia, e celebra i riti con un tale apparato cerimoniale che
potrebbe sembrare sia stata questa la regione del mondo a insegnare la magia ai
Persiani. A tal punto le popolazioni, per quanto diverse tra loro e ignare delle
della reciproca esistenza, concordano su questo elemento. Di conseguenza, non
potremmo mai provare una gratitudine eccessiva per i Romani, che ci hanno
liberati da un rito mostruoso in cui uccidere un uomo era un gesto di grande
pietas religiosa e mangiarne le viscere aveva molti benefici."
Tacito (55 d.c. 117 d.c. circa) storico e senatore romano, ci riporta una delle più belle testimonianze seui druidi in Britannia in cui sono presenti anche druidesse:
"Stava sulla spiaggia la variegata schiera di nemici, densa di armi e di uomini,
percorsa da donne vestite di scuro alla maniera delle Furie, con i capelli
sciolti al vento, che agitavano fiaccole. Intorno stavano i druidi, che levavano
le mani al cielo, lanciando contro di noi maledizioni. La stranezza del loro
aspetto impressionò i soldati, che se ne stavano con il corpo paralizzato e le
membra immobili, esposti alle ferite dei nemici. Poi, esortati dai capi, e
facendosi loro stessi forza, per non dare l’impressione di tremare di fronte ad
una schiera di donne e invasati, si gettarono contro di loro, li travolsero,
avviluppandoli nelle loro stesse fiamme. Dopo fu loro imposto un presidio e
vennero abbattuti i boschi sacri ai loro culti barbarici, che prescrivevano che
gli altari fumassero del sangue dei prigionieri e che si dovessero consultare
gli dèi, servendosi di viscere umane."
"Un tempo Roma era stata presa dai Galli, ma poiché la dimora di Giove era
rimasta intatta l’impero non era andato distrutto. Ora invece, con vana
superstizione, i druidi cantavano che l’incendio del Campidoglio voluto dal fato
fosse un segno dell’ira divina, che assegnava alle genti d’oltrallpe il potere
sul mondo."
Clemente Alessandrino, uno dei padri della chiesa ci dice addirittura che Pitagora prese alcuni dei suoi saperi dai druidi, oltre che dai bramini dell'India:
"Alessandro, nell’opera sui Simboli Pitagorici, sostiene che Pitagora fosse stato
un discepolo di Zaratro l’Assiro e che, oltre a ciò, avesse appreso quanto
sapeva dai Galati e dai bramini."
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Autori più tardi:
Ippolito (secondo secolo) torna sul rapporto tra Druidi e Pitagora:
"Tra i Celti, i druidi si dedicarono alla filosofia pitagorica, alla quale erano
stati indirizzati da Salmoside, il servo di Pitagora, uomo di origine tracia che
era giunto tra i druidi dopo la morte del padrone, e che aveva dato loro
l’opportunità di apprenderne le teorie. I Celti credevano che i loro druidi
fossero indovini e profeti, poiché sapevano predire certi eventi, grazie al
sistema di calcolo pitagorici. Non passeremo sotto silenzio l’origine del sapere
dei druidi, poichè alcuni hanno presunto di scorgervi distinte scuole di
pensiero. In verità i druidi si servivano anche delle arti magiche."
Lampridio (quarto secolo):
"Mentre si accingeva a partire, una profetessa druidica gli urlò in lingua
gallica : “Va’, ma non sperare nella vittoria e non fidarti dei tuoi soldati”."
Ammiano Marcellino (330 d.c. 400 d.c. cristo) autore più tardo ci porta altre testimonianze sui Druidi e le loro classi:
"I druidi affermano che parte della popolazione della Gallia era indigena, mentre
altri venivano dalle isole e dalle terre di là dal Reno, fuggiti dalle loro sedi
originarie a causa delle ripetute guerre e dalle inondazioni prodotte dal mare."
"In questi
luoghi iniziarono a diffondersi, fra genti che divenivano sempre più
civilizzate, le arti raffinate promosse dai bardi, dagli euagi e dai druidi. E i
bardi cantavano le imprese eroiche di uomini illustri, composte in versi
solenni, con il dolce accompagnamento della lira, mentre gli euagi cercavano di
dare una spiegazione ai profondi misteri della natura. I druidi, infine, uomini
di maggior talento, si riunivano in sodalizi sotto il segno della dottrina
pitagorica, eletti ad indagare le questioni occulte e profonde; sprezzanti verso
le cose terrene, pensavano che le anime fossero immortali."
Flavio Vopisco (quarto secolo) torna sulle druidesse:
"Diocleziano, che militava ancora nei ranghi inferiori, ed era di stanza in
Gallia nel paese dei Tungri, si trovò in una locanda a fare i conti dei suoi
costi giornalieri con una donna che era una druidessa. Questa a un certo punto
gli disse: “Diocleziano, sei troppo avaro e spilorcio!”. Ed egli le rispose
scherzando: “quando sarò imperatore, allora sì che largheggerò!”. E si dice che
la druidessa avesse risposto : “Diocleziano, non scherzare, sarai infatti
imperatore, dopo aver ucciso il cinghiale”. "
"Diceva infatti Asclepiodoto che Aureliano aveva una volta consultato le
druidesse di Gallia, chiedendo loro se l’Impero sarebbe rimasto ai suoi
discendenti, ma queste avevano risposto che nessun nome sarebbe stato più famoso
di quello dei discendenti di Claudio. E infatti ora è imperatore Costanzo, che
discende da quel sangue e i cui discendenti raggiunsero, credo, quella gloria
che era stata vaticinata dalle profetesse."
Ausonio vissuto anch'egli intorno al quarto secolo nel suo Commemoratio professorum Burdigalensis ci parla dei druidi e di un tempio del dio Belenus:
"Se la fama non mente, tu discendo da druidi di Bayeux, e riconduci la tua stirpe
consacrata al tempio di Beleno, donde vi viene il nome."
"E io non posso non parlare del vecchio Fenicio che, sebbene fosse addetto al
tempio di Beleno, non ne trasse alcun profitto. Discendeva, come si dice, dai
druidi di Armonica, e ottenne un seggio a Bordeaux, con l’aiuto di suo figlio."
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