La preistoria
Dai primi agricoltori alle palafitte
La storia dell'uomo nell'anfiteatro morenico di Ivrea inizia circa 10.000 anni fa, quando il completo scioglimento dei ghiacciai che ricoprivano la pianura, dovuto al riscaldamento del clima, permise il popolamento del territorio che progressivamente si trasformò da area paludosa a vasta foresta punteggiata di piccoli laghi e racchiusa tra montagne e colline. Nel corso del Neolitico, all'inizio del V millennio a.C., i primi agricoltori si insediarono sulle rive del lago Pi-stono, a Montalto Dora, e sulla collina del castello di San Martino Canavese. Circa 4500 anni fa, nell'età del Rame, lungo la Dora Baltea si intensificarono i contatti tra i due versanti alpini. Le due statue-stele del sito megalitico di Tina di Vestigne, ora ricoperto dalle ghiaie trasportate dal divagare del fiume, rappresentano antenati divinizzati per i quali sono stati eretti grandi monumenti, analoghi a quelli di Aosta e Sion.
L'età del Bronzo
Il villaggio palafitticolo del lago di Viverone
Nel giugno del 2011 l'abitato preistorico che giace sui fondali del lago di Viverone è stato iscritto tra i 111 "Siti palafitticoli preistorici dell'arco alpino" della lista del Patrimonio Mondiale dell'Unesco. Il villaggio, di cui restano oltre 5000 pali che emergono dalle sabbie lacustri, fu costruito tra XVI e XV secolo a.C. sulle sponde del lago, le cui acque erano più basse delle attuali di circa due metri. Inoltre la costruzione dei villaggio portò ad un intenso disboscamento del territorio, che liberò spazi per campi e pa-scoli. Palizzate circondavano l'abitato, per difenderlo dall'esterno e trattenere le greggi, e il villaggio era attraversato da una passerella, sulla quale si affacciavano le capanne, costruite direttamente sul terreno o su palafitta, per isolarle dall'umidità del suolo. I reperti rinvenuti sul fondo del lago, provenienti dalle abitazioni e abbandonati durante la rapidissima risalita delle acque, consentono di ricostruire, in modo eccezionale per l'età del Bronzo, vari aspetti della vita quotidiana: sono armi di guerrieri, ornamenti femmi-nili, vasi per conservare il cibo, cucinare, mangiare e bere. Essi testimoniano inoltre come l'anfiteatro morenico di Ivrea fosse il tramite fondamentale tra l'Italia e l'Europa nordalpina. Infatti anche altri ritrovamenti nel territorio, come l'ascia di Chiaverano, con confronti tra la Svizzera e la Francia orientale, le lance di Mercenasco e Alice Ca-stello, la forma di fusione per spade da Piverone, attestano da un lato una evoluta metallurgia, dall'altro l'appartenenza a industrie e stili di vita diffusi sui due versanti alpini.
La spada e il misterioso oggetto (probabilmente uno spiedo) recuperati nella Dora Baltea ai piedi del Ponte Vecchio sono testimonianze di usi e credenze religiose che prevedevano la deposizione nei fiumi, presso guadi e luoghi di passaggio, di oggetti preziosi.
La colonia di Eporedia viene dedotta nel 101/100 a.C come avamposto militare e strategico sulla riva sinistra della Dora Baltea, nel luogo in cui il fiume conclude il percorso alpino e si apre verso la pianura per proseguire poi il suo corso fino alla confluenza con il Po. Nel fondo valle della Dora corre l'itinerario terrestre obbligato per i valichi del Piccolo e Gran S. Ber-nardo. Per poco meno di un secolo, fino alla fondazione di Augusta Praetoria Salassorum (Aosta), nel 25 a.C., Eporedia conserva un preminente ruolo militare nella regione e rappresenta il riferimento amministrativo e organizzativo per i publicani (esattori delle imposte) ai quali era stato appaltato lo sfruttamento su larga scala dei giacimenti auriferi della Bessa, confiscati ai Salassi. Nel frattempo l'integrazione tra le popolazioni locali e i nuovi arrivati procedeva, creando una commistione di caratteri che vedrà una lunga sopravvivenza dell'identità indigena. Il processo di progressiva acquisizione del costume e delle abitudini dei Romani si coglie attraverso vari aspetti della cultura materiale. I segnacoli funerari in pietra appena sbozzata con iscrizioni in alfabeto leponzio delle popolazioni celtiche vengono gradualmente sostituiti da lapidi iscritte in alfabeto latino, su cui compaiono anche dediche alle divinità romane. Il vasellame di produzione locale, spesso lavorato interamente a mano e ancora cotto in falò, viene affiancato dalle ceramiche fini verniciate come la ceramica a vernice nera, lavorate al tornio e cotte in fornaci ad atmosfera controllata, dapprima importate dall'area padana o centro italica e poi prodotte anche sul posto. Sorgono anche officine locali di raffinate ceramiche a pareti sottili, che sfruttano la presenza di giacimenti di finissime argille caoliniche.